Medaglia d’oro e suoi rovesci. (Tsunami mentali in piscina)

Da “la gazzetta.it” di ieri leggo:

“Ian Thorpe ricoverato per abuso di alcol e depressione. Il fenomeno australiano del nuoto è entrato in ospedale a Sydney mercoledì notte per provare a salvare quel che resta di un gigante in vasca, capace di conquistare 5 ori olimpici e 11 titoli mondiali. Thorpe, 31 anni, era stato visto recentemente agli Australian Open, apparentemente tranquillo e col sorriso stampato in faccia. In realtà, i tormenti di alcol e depressione erano già presenti da diverso tempo e nella sua autobiografia “This is me”, pubblicata un anno fa, uscivano con prepotenza: “Nuotavo, bevevo e volevo uccidermi”.
INCIDENTE — Il quadro è piuttosto desolante. Familiari e amici hanno rivelato sgomenti che qualche giorno fa è caduto in casa: “Ha avuto un incidente in casa. E’ scivolato e si è fatto male. Per quanto riguarda la sua depressione, il suo libro riporta perfettamente ciò di cui state parlando e ciò che è successo recentemente. Speriamo che stia meglio e che riesca in un pieno recupero”.
SITUAZIONE SERIA — Anche l’amico Alan Jones ha usato un tono molto preoccupato: ” Sì, è una cosa seria, ma non c’è molto che posso o voglio aggiungere. Ian è una bellissima persona, ma ha difficoltà a riconoscere i suoi problemi”.
“NON RIESCI AD AFFRONTARE IL MONDO” — Nella sua autobiografia, il campione olimpico, in realtà, aveva spalancato il suo cuore: “Neppure la mia famiglia sa che ho trascorso molto tempo nella mia vita a combattere ciò che posso solo descrivere come depressione paralizzante. (….) Usavo l’alcol per sbarazzarmi dei miei pensieri terribili, per gestire il mio umore. Lo facevo dietro alle porte chiuse, dove molte persone depresse scelgono di combattere i loro demoni prima che realizzino che non possono farcela senza un aiuto. L’ho fatto in numerose occasioni, come quando mi allenavo per difendere i miei titoli olimpici ad Atene- sempre da solo e pieno di vergogna. E’ come un peso che ti spinge giù. Ci sono giorni in cui semplicemente non riesci ad alzarti dal letto. Non riesci ad affront
are il mondo”

Dispiaciuto per questa notizia riguardante l’ex primatista mondiale dei 400 sl, mi tranquillizzo solo in parte oggi, a seguito di ulteriori notizie tendenti a sdrammatizzare la gravità del ricovero (che sembrerebbe dovuto ad un banale intervento alla spalla e non a situazioni più insidiose, di tipo depressivo…). Tuttavia…c’è sempre un tuttavia: e allora mi trovo a pensare ad un atleta come Thorpe, che dopo aver goduto di fama e successi ai massimi livelli, dopo aver dedicato una vita ad allenarsi in piscina, si trova a soli trentuno anni a dover reinventarsi una nuova esistenza in un ambiente privo totalmente di cloro, di corsie, costumoni e blocchi di partenza. La vita comune che lo attende, a contatto con persone normodotate e spesso non atletiche; la routine del quotidiano, tanto diversa e priva degli eccessi tipici degli ambienti mono orientati; la prospettiva di un futuro che tende a dimenticarsi di chi é stato campionissimo, in parole semplici, la normale quotidianità: quanto può essere distruttiva l’incapacità di avviare un giusto processo di adattamento? E allora penso ai tempi in cui sono stato atleta e penso anche al lungo periodo vissuto da allenatore di squadre di giovani nuotatori, più o meno dotati. Alcuni talentuosissimi, altri semplicemente scarsi. Tutti o quasi (Palla di lardo no, ad esempio) con il sogno di diventare campioni o almeno di vincere qualche trofeo. Penso alle pretese che ho subito dai miei allenatori, alle loro richieste, che hanno indirizzato la mia gioventù verso un’unica attività, quella natatoria, a discapito della cura di altri interessi e dello sviluppo di altre propensioni. Volevano che provassi a diventare campione, chiedevano a me, poco più che bambino, un impegno esclusivo, da professionista. Sapendo che nel nuoto, come in ogni altro sport, solo uno su un milione, diventa campione e coglie il successo. Penso altresì, a ciò che io, da allenatore, ho richiesto agli atleti da me allenati, per provare a giocarsi le proprie carte e a sviluppare con successo le proprie attitudini e qualità. Onestamente, devo anche dire che, memore di un certo fanatismo subito quando ero atleta, ho sempre cercato di evitare di propinare ai ragazzi che nuotavano con me, richieste tendenti all’esasperazione dell’attività. Pensavo di esserci riuscito, fino a quando non mi sono ritrovato nelle vesti di chi, essendo divenuto allenatore in pausa, ora si trova ad osservare altri allenatori ed altri ragazzi che allenano e si allenano, ordinando ai loro sogni di sognar successi. Certe frasi e certe richieste fatte da chi, un tempo era collega, verso chi cerca di diventare prima atleta e poi campione, ma che, in pratica, cerca di essere primariamente persona adulta…certe frasi, dicevo, suonano totalmente fuori posto, disarmoniche, esasperate. Semplificando, lo “sputare sangue”, di petersoniana memoria, se rivolto ad atleti adulti e già formati anche come campioni (la mitica banda bassotti dell’Olimpia Milano, che tutto vinceva nel basket d’Europa negli anni 80/90), poteva essere il quid in più per ulteriori successi. Ma se invece, destinato a ragazzi in formazione e a bambini che provano a diventare atleti, quale l’effetto e quale il risultato? Sicuramente assai diverso, costituendo un’esasperazione e non un’educazione allo sforzo e alla fatica. Recentemente ho assistito a gare di esordienti, quotidianamente assisto ad allenamenti: mi é capitato spesso di sentire richieste, urlate tra l’altro, con tono perentorio, che visti i destinatari, suonano tristemente ilari. Ragazzini a cui si chiede di esibire il coraggio dell’eroe, l’attenzione dell’atleta maturo, la capacità di vivere il dolore di uno sforzo massimale. Ragazzini che ancora devono imparare la normalità della vita, oltre che l’efficacia di una tecnica sportiva corretta: ad essi si osa chiedere di gestire aspetti specifici dell’alta prestazione, neanche fossero loro, atleti adulti, di alta prestazione. Consiglierei a certi colleghi di fare la pausa che sto facendo io, provando da esterni a diventare osservatori. Da fuori certi aspetti si notano meglio e meglio li si può correggere. In fondo, pensiamoci bene se valga la pena arrivare a trentuno anni, magari nemmeno medagliati…regionali, essendo persone finite o dilaniate da depressione da disadattamento…

Sane riflessioni a tutti e a tutto il movimento natatorio.

Particella.

Una risposta a "Medaglia d’oro e suoi rovesci. (Tsunami mentali in piscina)"

  1. Mi spiace per Ian Thorpe ma lui grazie al suo talento almeno ha soldi per curarsi
    La stragrande maggioranza in povertà , depressione o alcolizzata non ha neanche un cane vicino
    Bisogna soprattutto essere onesti con sé stessi e poi con i giovani allievi. E non pretendere la luna se neanche sanno cos’è la Terra.
    Ho visto dei signor Nessuno poveri, depressi, alcolizzati e drogati lasciati alla deriva della loro vita e certamente, anche se dispiace non mi strappo i capelli per un Ian Thorpe o per il bravissimo Phlip Seymour Hoffman (attore) morto recentemete di overdose
    Un caro saluto
    Gina

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